Pubblichiamo l’intervento integrale della Segretaria Generale della Cgil Lecce, Valentina Fragassi, sulle politiche di contrasto alla povertà del governo Meloni, in particolare sull’annunciata abolizione del Reddito di Cittadinanza, pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno di domenica 27 novembre

 

di Valentina Fragassi*

La stretta annunciata dal governo Meloni sul Reddito di cittadinanza è un provvedimento fuori contesto. Segue il solco tracciato dal Consiglio dei ministri per la manovra 2023: togliere ai poveri per dare ai ricchi. O per permettere ai ricchi di arricchirsi ancor di più. Le conseguenze, in un Paese che non riesce a produrre occupazione stabile e di qualità, saranno disastrose. Specie al Sud ed in un territorio marginale come il Salento.

Mentre in Europa è garantito, praticamente ovunque, un reddito minimo, da noi si decide non di migliorarlo ma di abolirlo. Proprio nel momento in cui impazza l’inflazione ed in una situazione di crisi economica senza precedenti nella storia della Repubblica. Il Reddito di cittadinanza paga oggi la pesante tara fatta di pregiudizio che lo ha avvolto fin dalla sua nascita. Eppure solo col sostegno di questa misura centinaia di migliaia di nuclei familiari hanno potuto affrontare la tempesta socio-economica degli ultimi anni. Per restare ai dati più vicini a noi, in provincia di Lecce i redditi o le pensioni di cittadinanza percepite a settembre 2022 sono 20.399; garantiscono una vita per lo meno più dignitosa a 41.628 persone, ossia a circa il 5 per cento degli abitanti della provincia. Al di là del folklore che accompagnò l’introduzione della misura – ovviamente la povertà non si abolisce, si può solo combattere – grazie a questo aiuto negli ultimi quattro anni tanti cittadini hanno potuto accedere ai beni di prima necessità: non è poco.

Si calcola che a livello nazionale circa il 40 per cento degli attuali percettori, quelli cioè in età “occupabile”, da settembre del 2023 perderanno il sussidio. Traslando la proporzione sul territorio, almeno 8mila percettori (e in proiezione 16mila persone) resteranno senza un euro. Su di loro cade come una scure la narrativa del governo: se sei “occupabile” e non hai un lavoro, allora sei un fannullone. E fa niente se il lavoro non c’è. Ricade sui percettori anche la responsabilità del mancato funzionamento del sistema di politiche attive del lavoro ideato dai precedenti governi. Ed è sempre colpa loro se non arrivano le offerte o se quelle che arrivano non sono congrue per salario offerto o distanza dal luogo di residenza. Si rivela il cortocircuito di un sistema che non risolve i problemi, ma ha la forza di stigmatizzare disoccupati e inoccupati.

Come Cgil abbiamo sempre denunciato e criticato le storture di questo strumento. Non ci ha mai convinto la riforma che introdusse i navigator: precari che avevano il compito di trovare il lavoro che loro stessi bramavano. Inoltre abbiamo biasimato i cosiddetti “furbetti del Reddito”, ossia quei percettori che mantenevano una occupazione in nero oltre al sussidio (ma sia chiaro, si tratta di una sparuta minoranza). Abbiamo invece compreso i tanti lavoratori stagionali, del turismo o dell’agricoltura per esempio, che dal 2019 hanno rifiutato lavori con paghe non dignitose, con orari di lavoro da sfruttamento, con condizioni contrattuali capestro.

Nel dibattito sfiancante condotto dagli imprenditori del turismo sulle conseguenze del Reddito di cittadinanza sull’occupazione stagionale, e quindi sulla difficoltà di trovare manodopera a basso costo, abbiamo sempre saputo da che parte stare. Sembrano ormai maturi i tempi per far passare le assunzioni dai Centri per l’impiego, con l’applicazione garantita dei contratti collettivi nazionali: probabilmente di fronte a salari quasi tripli rispetto al Reddito di cittadinanza (che in provincia di Lecce si attesta ad appena 533 euro mensili) non ci sarebbe stato neanche il tempo per pensare ad una scelta.

Viene da dire che per fortuna il governo non ha messo in mezzo ad una strada chi non è nelle condizioni di lavorare. Magra consolazione, soprattutto in un territorio come il nostro, affamato di lavoro e dignità, carente di investimenti pubblici e privati e senza reali prospettive occupazionali. Decidere di abolire il sussidio mentre la forbice della povertà si allarga appare ai più un comportamento controintuitivo. Eppure non c’è molto di cui meravigliarsi se tra armamenti, evasione fiscale, disoccupazione, gender-gap, divario geografico tra Nord e Sud, l’esecutivo ha scelto di occuparsi fin da subito di Reddito. Tra la tutela delle fasce deboli e la classe padronale, la Presidente del consiglio ha compiuto una scelta di campo specifica. Ha chiarito a tutti da che parte sta il suo governo. L’abolizione di fatto del Reddito infatti fa il paio con la reintroduzione dei voucher in agricoltura e nel turismo: scelte che sanno di favore alla classe imprenditoriale, ora libera di attingere ad una manodopera sempre più a basso costo. Se a questo si aggiungono mancata indicizzazione delle pensioni e flat tax, si capisce perché ha ragione il segretario generale Maurizio Landini, quando dice che la manovra è contro i poveri.

Ora la prospettiva per migliaia di onesti percettori del Reddito di cittadinanza, che quotidianamente fanno i conti con una vita di disagi, è dunque lo sconforto e la paura della solitudine. Non resteranno soli. Avranno sempre noi dalla loro parte. Come sindacato organizzeremo iniziative per informare le persone su diritti e doveri, affinché non si compiano passi indietro in processi di lotta alla povertà ormai irreversibili e in modo da non lasciare indietro nessuno.

*segretaria generale Cgil Lecce