Corte d’assise di Lecce condanna lo sfruttamento nei campi

Morì 8 anni fa nei campi di Nardò: 14 anni e mezzo ad imprenditore e caporale. La Cgil e la Flai, difese dall’avvocata Viola Messa, si erano costituite parti civili: “Pronunciamento importante. Speriamo sia una svolta per un’inversione culturale”

caporalato

Lecce, 25 novembre 2022 – Dopo oltre 7 anni, Mohamed Abdullah ha ottenuto giustizia. Morì a 47 anni nei campi di Nardò mentre raccoglieva pomodori sotto il sole cocente di luglio. Sotto il giogo del caporalato, in condizioni di vita e di lavoro disumane. Per riduzione in schiavitù e omicidio colposo, la Corte d’Assise di Lecce ha condannato a 14 anni e sei mesi il titolare dell’azienda agricola per la quale lavorava il giovane sudanese, Giuseppe Mariano di 83 anni, e l’intermediatore Mohamed Elsalih di 42 anni. La Cgil Lecce e la Flai Cgil Lecce si costituirono all’epoca parti civili nel processo, affidando la propria tutela legale all’avvocato Viola Messa.

“La sentenza della Corte d’Assise, riconoscendo le responsabilità di impresa e intermediario, fa giustizia fotografa il contesto di sfruttamento e di condizioni di lavoro insicure nel quale il tragico evento si è consumata una morte sul lavoro”, commentano le segretarie generali Valentina Fragassi (Cgil Lecce) e Monica Accogli (Flai Cgil Lecce). “Di certo non possiamo dirci soddisfatte o felici: niente e nessuno riporterà in vita Mohamed Abdullah e i segni di quella tragedia resteranno comunque incisi nella storia del lavoro bracciantile di questo territorio. La nostra battaglia per il riconoscimento dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori non si ferma davanti a questa sentenza, ma continua quotidianamente nei campi, nelle aziende, nelle Camere del Lavoro e nelle sedi istituzionali. Dal 2015 ad oggi molto è stato fatto sul piano dell’accoglienza e sono intervenute anche alcune ordinanze regionali e comunali per evitare il lavoro nelle ore più calde. Ma ciò non basta a risolvere la piaga delle morti sul lavoro. La svolta arriverà solo quando si raggiungerà la piena consapevolezza che lo sfruttamento nei campi, le condizioni disumane di lavoro e l’assenza di misure di sicurezza e prevenzione sono le principali cause di morte dei braccianti agricoli. Richiediamo da anni una vera integrazione dei lavoratori stagionali, a partire dalla dignità del lavoro, dal rispetto del contratto collettivo nazionale e da una reale accoglienza di questi lavoratori che, pur lavorando per alcuni mesi all’anno in questo territorio, sono relegati ai margini dei centri urbani”.