L’intervento della segretaria generale Valentina Fragassi pubblicato oggi sulla prima pagina del Nuovo Quotidiano di Puglia

 

di Valentina Fragassi*

Ridurre i divari territoriali per migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone, attraverso l’utilizzo dei Fondi per le politiche di coesione, a partire dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per chi guarda al dibattito di questi giorni da una provincia geograficamente marginale come la nostra, non può che essere questo l’obiettivo cui far tendere ogni idea di sviluppo. E invece, come una moderna Penelope, l’azione del governo nazionale sembra volta a disfare di notte ciò che si crea di giorno: da un lato si sbandierano crescita e inclusione come obiettivi del Pnrr; dall’altro si approva il nefasto progetto sull’autonomia differenziata. Che tutto fa, tranne puntare sulla coesione. Anzi, divide ancora di più. Anche per questa fosca prospettiva, contro cui daremo battaglia, il nostro territorio non può permettersi di fallire l’obiettivo della spesa dei Fondi per la Coesione: Pnrr, Fondi strutturali europei e Fondo nazionale di Sviluppo e Coesione.

Cavallo di battaglia di una compagine politica di forte tradizione nordista, l’autonomia differenziata, appena approvata con la pressoché unanime complicità delle altre forze di governo, rischia di rappresentare il cavallo di Troia entro cui si nascondono progetti di secessione e consolidamento dei divari tra Mezzogiorno e Settentrione. Così come manca la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni, è del tutto assente in chi ci governa un principio semplice: il Paese cresce, se il Sud spicca il volo e si mette nelle condizioni di poter crescere “insieme” al Nord.

Gli investimenti finanziati dai Fondi per la Coesione e soprattutto dal Pnrr sono visti come il viatico per lo sviluppo territoriale, regionale e nazionale. Rischiano però di rimanere un libro dei sogni, se non si creano per tempo le condizioni affinché la programmazione produca effetti concreti. Consapevoli di questo, con Cisl e Uil abbiamo hanno raggiunto un ottimo risultato in tema di negoziazione dei Fondi per la Coesione, ossia il protocollo “per la governance dello sviluppo territoriale di area vasta”, sottoscritto lo scorso 27 giugno tra Provincia, Università e le segreterie territoriali di Cgil, Cisl e Uil. In base a questo accordo le parti sociali non solo hanno diritto ad essere informate sull’andamento della spesa e sull’applicazione dei contratti di lavoro negli appalti, ma possono anche co-progettare, contribuendo in tal modo a migliorare realmente le condizioni di quei lavoratori che saranno chiamati a pianificare e costruire il cambiamento.

Il Pnrr è visto come il viatico dello sviluppo territoriale, dunque. È questo il mantra del dibattito politico ed economico degli ultimi mesi. Solo un Piano con quella dotazione finanziaria può far sperare il Salento nell’agognata infrastrutturazione sociale e materiale, per rendersi sempre più attrattivo di investimenti, anche privati. La discussione ha portato tutti gli attori sociali locali ad interrogarsi sulle capacità del territorio di competere nella corsa per accaparrarsi i fondi.

Bisogna sviluppare una riflessione seria su un punto dai più trascurato: da dove parte la nostra rincorsa a queste risorse? La risposta è deprimente: dal disinvestimento trentennale sul pubblico impiego. La stagione dell’austerity, dei tagli lineari, del blocco del turnover, del patto di stabilità ha depauperato l’organico delle pubbliche amministrazioni. Ossia degli attori principali che gestiranno progettazione ed esecuzione a valere sui fondi europei e del Pnrr. Il lavoro pubblico è per la Cgil l’ossatura del Paese, ciò che garantisce l’esigibilità dei diritti costituzionali. Ogni taglio ai posti di lavoro pubblici sforbicia anche un pezzo di democrazia. La realtà ci pone infatti di fronte ad un organico invecchiato, numericamente dimezzato, bisognoso di formazione digitale. Una situazione che porta a galla un interrogativo enorme, che in questa fase tutti dovrebbero avere a cuore: ossia se, date le condizioni di partenza, saremo capaci di cogliere le opportunità che l’Europa ci ha messo a disposizione per rilanciare lo sviluppo del territorio e ridurre il divario rispetto al Nord. Non bastano infatti le assunzioni temporanee che il governo ha messo in campo in questi mesi.

È infatti evidente che se non si parte da un investimento strutturale sul lavoro pubblico, il cambiamento auspicato non potrà realizzarsi. I sindaci hanno bisogno di piante organiche degne di tale nome, altrimenti sarà impossibile garantire i servizi ai cittadini. Così come diventerà una chimera progettare, monitorare e poi spendere le risorse a disposizione. Non è dunque più rinviabile un piano straordinario di assunzioni nel pubblico impiego: una battaglia da vincere per garantire un futuro alla nostra democrazia.

* segretaria generale della Cgil Lecce