“La Costituzione entra in fabbrica: 50 anni fa lo Statuto dei lavoratori”, intervento integrale di Valentina Fragassi sulla prima pagina di Quotidiano

Di seguito l’intervento, pubblicato in prima pagina dal Nuovo Quotidiano di Puglia, a firma del Segretario generale della Cgil Lecce, Valentina Fragassi, sul 50esimo anniversario dall’approvazione dello Statuto dei Lavoratori.

di Valentina Fragassi*
“La Costituzione entra in fabbrica”. È lo slogan più efficace che accompagnò l’approvazione della Legge 300 del 70, lo Statuto dei Lavoratori. Da quel 20 maggio sono passati 50 anni. Una data storica che suggella un percorso che comincia nel 1948 con la Costituzione, matura negli anni Cinquanta e fermenta nell’Autunno caldo del ‘69.
La Cgil, attraverso il suo padre fondatore Giuseppe Di Vittorio, già nel 1952 durante il congresso di Napoli annuncia la necessità per l’Italia di dotarsi di uno Statuto dei Lavoratori capace di rendere esigibili i diritti sanciti dalla Costituzione: “I lavoratori sono uomini e liberi cittadini della Repubblica italiana anche nelle fabbriche, anche quando lavorano. Nell’interesse nostro, nell’interesse vostro dei padroni, nell’interesse della patria, rinunciate all’idea di rendere schiavi i lavoratori italiani, di ripristinare il fascismo nelle fabbriche. Facciamo lo Statuto dei diritti dei lavoratori all’interno dell’azienda”. Un’idea nata in un contesto particolare, in cui i “padroni” si sentono proprietari dei lavoratori.
Ci sono voluti quasi 20 anni per realizzare il sogno di Di Vittorio. Dopo anni di lotte e rivendicazioni nel 1970, diritti fino ad allora sconosciuti entrano nella routine quotidiana di milioni di lavoratori: la libertà di opinione, il diritto all’informazione, all’associazione e alla rappresentanza sindacale sul posto di lavoro, a riunirsi in assemblea, la tutela della salute. Allo stesso tempo si pone finalmente un freno alla discrezionalità del datore di lavoro: dal limite all’attività di controllo alle sanzioni disciplinari, dal divieto di indagini sulle opinioni dei dipendenti allo stop degli atti discriminatori, dalla tutela contro il licenziamento illegittimo alla repressione delle condotte antisindacali. Un’autentica rivoluzione, frutto del protagonismo del mondo del lavoro, delle battaglie sociali che trovarono sponda in una classe dirigente di livello, capace di sintonizzarsi con i bisogni espressi dalla classe lavoratrice: penso ai parlamentari con un passato nella Cgil, come Giacomo Brodolini (padre dello Statuto insieme al giurista Gino Giugni), ma anche come il salentino Mario Foscarini, che raccolse in Parlamento l’eredità di Giuseppe Calasso. Politici cresciuti alla scuola della lotta sociale, profondi conoscitori delle sofferenze della classe lavoratrice.
Lo Statuto rafforza, almeno fino a metà Anni Ottanta, il potere contrattuale della classe lavoratrice. Poi, sotto i colpi del neoliberismo, il potere d’acquisto dei salari decresce e le disuguaglianze sociali aumentano; il lavoro diventa merce, qualcosa su cui risparmiare piuttosto che investire; la compattezza del mondo sindacale è ormai intesa come una massa da polverizzare. Lo Statuto però è ancora lì, a tutelare libertà e dignità del lavoratore. Anche per questo per decenni la classe imprenditoriale, sostenuta da un partito politico trasversale (anche di Sinistra), ha cercato di smantellarlo. Prima la Legge Fornero e poi il Jobs Act, tra 2012 e 2015, abrogando di fatto l’articolo 18 e invadendo la privacy del lavoratore, hanno inferto un colpo mortale allo Statuto e ad un mondo del lavoro reso ormai sempre più precario.
Oggi, le dinamiche interne all’universo occupazionale, ci stanno riportando ad un contesto simile a quello in cui negli anni Sessanta maturò la necessità di una legge sul lavoro. Abbiamo un tema da affrontare e risolvere: la disuguaglianza sociale, che parte dalle differenze di trattamento tra lavoratori. Le condizioni di sfruttamento, il disequilibrio tra poteri, la disparità contrattuale tra dipendenti, collaboratori, lavoratori autonomi che magari operano a stretto contatto, ma anche l’avvento della robotizzazione, della digitalizzazione, le distorsioni della gig-economy, la scarsa considerazione del contributo dei dipendenti pubblici (fondamentali per rendere esigibili i diritti costituzionali, come quello alla salute, a tutti i cittadini, come è ormai chiaro al tempo della pandemia): tutto ciò comporta la necessità di un nuovo Statuto dei lavoratori. Senza parlare dell’odioso fenomeno del sindacato giallo e del dumping contrattuale, ancora in auge e che sta erodendo diritti, salari e futuro ai lavoratori salentini. Un contesto generale critico, che la pandemia può aggravare: basti pensare alla tentazione di deregulation in materia di smart working o al grande rischio che il “costo” del Covid venga scaricato presto sul mondo del lavoro, o ancora all’assurda scelta tra diritto alla salute e diritto al lavoro.
Abbiamo bisogno di una svolta, dobbiamo chiudere il dibattito che contrappone lavoratori garantiti e non garantiti. Oggi serve un patto, un nuovo Statuto che protegga tutti i lavoratori, ispirato ai principi di uguaglianza, solidarietà e proporzionalità. Proprio ciò che propone la Cgil dal 2016 con la “Carta universale dei diritti del lavoro”: un disegno di legge di iniziativa popolare per una riforma generale del lavoro. Un testo che in 97 articoli rinnova gli strumenti contrattuali, preservando quei diritti fondamentali che devono essere riconosciuti ed estesi a tutti, senza distinzione, perché inderogabili e universali. Una Carta che supera il dualismo tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, che estende il diritto al welfare a tutti i lavoratori, senza alcuna distinzione contrattuale.
Purtroppo però, l’attenzione al mondo del lavoro da parte della politica non è quella degli anni Sessanta: la nostra proposta, supportata da 1 milione e 150mila firme, giace da quattro anni nei cassetti delle Commissioni parlamentari. La classe politica che guiderà l’economia del futuro dovrebbe ispirarsi a chi l’ha preceduta, capire che tutelare il lavoro significa tutelare la vita dei cittadini. Un altro paese è possibile, con un nuovo stato sociale: ma serve una visione del futuro, che si faccia carico della condizione delle persone.

*Segretario Generale della Cgil Lecce