di Valentina Fragassi

“La storia i fascisti la facevano allora e la fanno tuttora prescindendo dai fatti”. Sono le parole scritte da Gaetano Salvemini nel suo “Memorie di un fuoriuscito”, pubblicato nel 1960: le parole più efficaci che ci vengono in mente ogni qualvolta leggiamo o sentiamo tirare fuori la presunta necessità di un processo di pacificazione nel nostro Paese. Un’idea a più riprese riproposta anche da alte cariche dello Stato, recentemente anche dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Che nel 2009 dal Viminale, era arrivato a mettere in discussione la matrice fascista della strage di Bologna, a sostegno di una ipotetica “pista palestinese” (poi archiviata dalla magistratura).

Valentina Fragassi

Pacificazione tra chi? Siamo al paradosso che dirsi “antifascista” sia considerato anacronistico e senza motivo, anche in una Repubblica che fonda la sua Costituzione sulla legittimità antifascista. Forse “pacificazione” per qualcuno significa non doversi più sentire a disagio con la storia, dimenticare fatti del Ventennio o cancellare la lunga stagione del terrorismo nero, come pure i tentati colpi di Stato per fortuna falliti, le connivenze con i servizi segreti deviati. Forse significa dare una chiave di lettura “creativa” sui fatti del presente (sui quali secondo i più interessati alla “pacificazione” il silenzio è d’oro). Altrove, come per esempio in Germania con cui condividiamo drammi e responsabilità di quell’infausto periodo, e dove i conti con la propria storia sono stati fatti per davvero, la questione non si pone neppure.

“Il fascismo ha rappresentato una breve tappa nel corso della storia d’Italia”. “Il fascismo è finito nel 1945, quindi non ha più senso praticare l’antifascismo”. “Il fascismo ha fatto anche cose buone”. “Le leggi razziali, l’alleanza con Hitler, in fondo, sono stati degli errori marginali rispetto all’impostazione più complessiva del Ventennio, fatta salva la scelta sciagurata dei ragazzi di Salò di continuare a sottomettersi alla ferocia nazista scegliendo di continuare a stare dalla parte sbagliata della Storia”. “Il fascismo sarà pur stato un regime antidemocratico, ma in fondo rispetto ai crimini del comunismo può essere assolto”.

Sono i principali luoghi comuni dietro ai quali si nascondono i tentativi di chi, non riuscendo a fare i conti sino in fondo con la storia e con le proprie imbarazzanti simpatie, cerca di sostenere improbabili esigenze di pacificazione prescindendo dai fatti.

E i fatti non sono solo quelli del Ventennio, col suo carico di violenza, sopraffazione, assassinii, brutalità, consapevoli e convinte complicità, razzismo, imperialismo, mortificazione dei popoli conquistati, arretratezza economica e sociale. I fatti sono anche quelli che ci dicono che di fronte ai grandi passaggi della storia ci fu chi, la gran parte del popolo italiano, scelse di mettere le proprie idee (pur diverse tra loro ma accomunate dall’antifascismo), i propri valori, le proprie aspirazioni, le proprie vite al servizio della Liberazione d’Italia. E vi fu invece chi scelse di tradire la nazione, tradire la giustizia, tradire la libertà continuando ad essere strumento al servizio della follia hitleriana.

I fatti sono anche quelli che ci dicono che, di fronte alla violenza squadrista che nell’ottobre 2021 ha assaltato la sede nazionale della Cgil, c’è chi, piuttosto che esprimere ferma condanna, ha preferito andare alla ricerca di una ignota “matrice”.

I fatti sono anche quelli di questi giorni: basti pensare all’aggressione in pieno stile fascista di cui sono state vittime due ragazzi fuori da un liceo fiorentino. Di fronte ad un atto così violento, piuttosto che leggere parole di ferma condanna da parte del Governo, abbiamo avuto la dura presa di posizione del ministro Valditara nei confronti di una preside che ha voluto ricordare ai suoi studenti che il fascismo si annida sempre nell’indifferenza, si nutre della sottovalutazione del fenomeno e della memoria rimossa.

Ed è proprio questo il rischio che si cela dietro una pacificazione che non parta dal riconoscimento dei fatti, che non sappia fare patrimonio comune ed indiscutibile dei valori di giustizia e libertà tipici della lotta di Liberazione, che non riconosce nella Resistenza antifascista il seme dell’Italia Repubblicana.

Occorre avere i piedi ben saldi nelle nostre radici, prima ancora di pensare alla speculazione politica, alle esigenze economiche, al lavaggio delle proprie coscienze. Prima di ogni tentativo di ripartenza, si perpetui la memoria e si tragga insegnamento dalla storia.