Le priorità di Cgil, Cisl e Uil sulla Legge di Bilancio. Le conclusioni del Segretario confederale, Giuseppe Massafra, all’attivo unitario di Lecce

Lecce, 23 novembre 2018 – Nella Cassa Edile di Lecce le categorie e le confederazioni provinciali di Cgil, Cisl e Uil si sono riunite oggi per discutere della Legge di Bilancio. Infrastrutture, trasporti, sanità, pensioni, reddito di cittadinanza, politiche per il Mezzogiorno, decreto sicurezza e soprattutto interventi per l’occupazione sono stati i temi principali della discussione. L’attivo unitario è stato presieduto dal Segretario Generale della Uil di Lecce, Salvatore Giannetto. Ha introdotto il dibattito il Segretario Territoriale della Cisl, Ada Chirizzi. Con loro al tavolo di presidenza era presente anche la Segretaria Generale della Cgil, Valentina Fragassi. Dopo una lunga serie di interventi, il Segretario Confederale nazionale della Cgil, Giuseppe Massafra, a nome delle tre Confederazioni ha tracciato le conclusioni.

«L’analisi della manovra arriva in un contesto di forte consenso per le azioni del governo, in particolare nella parte di società che rappresentiamo come sindacato, ossia lavoratori e pensionati», ha detto nell’intervento conclusivo il Segretario Massafra. «Una condizione che ci pone davanti a due interrogativi: siamo capaci di rappresentare perfettamente il sentimento popolare? O forse è il sentimento popolare ad essere condizionato da una narrazione che trasforma provvedimenti fondamentalmente sfavorevoli a lavoratori e pensionati in provvedimenti per il popolo? L’iniziativa unitaria ha l’ambizione di costruire nella società un pensiero collettivo capace di leggere, provvedimento per provvedimento, gli effetti della Legge e la direzione che imprimerà sul futuro del Paese. Va letta in questo senso la costruzione di una piattaforma unitaria e la mobilitazione territoriale che ne conseguirà».

Massafra ha poi tracciato un’analisi di contesto: «Siamo reduci da un lungo periodo di crisi, non del tutto superato, che ha cambiato il modello economico, oggi a trazione finanziaria. L’eredità della crisi è la resa della politica alle necessità del mercato, ormai anteposto alle vite delle persone. Inseguire la logica del profitto ha significato favorire la riduzione dei costi e aumentare la frattura sociale. Dieci anni dopo è possibile affermare con certezza che la crisi economica ha prodotto una pesantissima crisi sociale, provocato fratture profonde, frutto di politiche sbagliate che invece di diminuire le disuguaglianza non hanno fatto altro che acuirle. Ed è questa la ragione profonda che ha messo in crisi un’istituzione, l’Unione Europea, che rischia di crollare sotto i colpi del sovranismo. Non è l’Europa dei popoli: così com’è è solo un’Europa attenta alla tenuta dei conti. Eppure non possiamo permetterci il tracollo dell’Unione, come vorrebbero gli artefici della Brexit, il gruppo di Visegrad e oggi anche il governo italiano».

La fotografia del Paese scattata dal Segretario confederale nazionale è sconfortante: «Aumenta la frattura sociale, si è bloccato l’ascensore sociale, cresce la povertà, calano i consumi e i redditi, sale la disoccupazione, si accentua la precarietà. E tra tutti questi problemi da affrontare ci raccontano, contro tutte le evidenze statistiche, che siamo invasi dai migranti, quando in realtà è vero il contrario: i nostri giovani fuggono dall’Italia per garantirsi un futuro migliore. Che incidenza avrà la manovra del governo italiano in uno scenario come questo? Intanto c’è da dire che non è frutto di una visione, di un progetto. Piuttosto risponde ad un contratto che metteva insieme in maniera creativa i vari impegni presi in campagna elettorale da due forze politiche che si erano presentate contrapposte alle elezioni. Nella Legge di Bilancio non si parla di sviluppo, di investimenti per l’occupazione, di Mezzogiorno (ma si dà voce alle spinte autonomistiche delle regioni). Nel contratto ci sono alcuni cavalli di battaglia. C’è il no alla Fornero, ma non basta quota 100 a dare risposte a giovani e donne o a chi ha un lavoro gravoso. Potrebbe andar bene, la quota 100, se fosse l’inizio di un ragionamento più complessivo, che però non c’è, quindi si riduce tutto a mera propaganda. C’è il reddito di cittadinanza, ma non se ne comprendono i contorni, visto che tutto è rimandato a successivi decreti. Certo, si ritiene di abolire la povertà per decreto, pensando che la povertà sia solo questione di reddito e non di garanzie sociali, di servizi, di lavoro, di prospettiva. Provvedimenti che costeranno. E da dove saranno recuperate le risorse? Dalla spesa corrente, un intervento che si traduce automaticamente in un taglio agli investimenti sulle infrastrutture materiali (strade, ponti e messa in sicurezza del territorio) e immateriali (una rete di garanzia sociale, dall’istruzione ai servizi sociali, alla sanità).

Insomma è una manovra elettorale, anche per come ci si pone di fronte all’Europa alla vigilia delle elezioni europee. Il soggetto sindacale è stato tra i primi a contrastare i parametri di bilancio imposti dall’Unione, per cui per noi non è lo sforamento il problema di questa manovra. Il vero problema è l’assenza di investimenti e misure espansive».

Massafra spiega anche da dove partire per leggere in maniera critica la Legge di Bilancio: «Da dove è più facile rilevare dove ci porterà questa manovra? Per esempio dagli interventi sulla politica fiscale: la flat tax mette in pericolo il principio redistributivo. Altro che manovra per il popolo, si favorisce solo chi ha redditi più alti! E ancora la “pace fiscale” che cosa è se non una politica di condoni? Ad essere premiati, ancora una volta, saranno gli evasori, quelli che le tasse non le hanno pagate fiduciosi nell’arrivo di una scorciatoia. Mi chiedo dove sia la misura “per il popolo”. L’interrogativo più importante è capire, in tutto questo ragionamento, da che parte si colloca il sindacato. Noi come sempre stiamo dalla parte di chi rispetta le regole, di chi nonostante i morsi della crisi ha pagato le tasse, di chi vuole cambiare modello di sviluppo. Vogliamo ricostruire la percezione della realtà ricalibrandola effettivamente su quel che succede».

E purtroppo la percezione della realtà è condizionata dalla propaganda e anche dalla crisi: «Il Paese è stato fortemente cambiato negli ultimi dieci anni. La crisi ha inciso pesantemente sull’umore, sui sentimenti, sulle paure. Ha prodotto rancori nei quali è stato facile costruire certi cavalli di battaglia, certi arroccamenti, certe chiusure. Noi abbiamo un’idea di società che non cavalca le paure, ma le supera. Le politiche razziste individuano nell’extracomunitario la causa dell’impoverimento generale. Ma è falso. Ciò che è vero è che la società sta diventando più violenta. La violenza si esprime in più modi: dalla recrudescenza della criminalità organizzata, che ormai si sta radicando nell’economia legale, allo sfruttamento e all’insicurezza nel mondo del lavoro (e ciò avviene tanto nei settori tradizionali quanto in quelli ultramoderni); dall’aumento della violenza di genere (e la risposta del governo è il decreto Pillon, che afferma un’idea maschilista e sessista della società) all’aumento delle pulsioni fasciste. In un contesto del genere e nell’ambito di un’idea di disintermediazione, il sindacato pretende un confronto col governo. E se da Palazzo Chigi continueranno a sfuggire alle loro responsabilità, allora ci mobiliteremo. Dobbiamo costruire le condizioni per superare il populismo. Il populismo utilizza ricette facili per dare risposte a problemi complessi: noi non siamo populisti. E lo dimostreremo ricostruendo un tessuto partecipativo nella società italiana, riappropriandoci della funzione di rappresentanza. Da qui parte un percorso unitario che dovrà dipanarsi nei luoghi di lavoro e nelle piazze».

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