Riportiamo di seguito l’intervento a firma della Segretaria Generale della Cgil Lecce, Valentina Fragassi, pubblicato oggi sulla prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno, edizione di Lecce.

 

“Essere donne, in Italia, non è semplice. Per emergere bisogna farsi forza e inghiottire bocconi amari. Spesso bisogna reprimere la propria femminilità per lasciarsi alle spalle risolini e diffidenza o cancellare dalla mente certe strane carezze. O ancora bisogna rinunciare ad essere madri (a meno che non si scelga una vita piena di ostacoli) per dedicarsi alla carriera. Ognuna di noi vive sulla propria pelle un generale senso di inadeguatezza, trasmessoci dalla società. Per non parlare dell’abbrutimento «social», con le pagine delle donne in politica sommerse da odio, ignoranza e cattiverie gratuite.

L’omicidio di Teresa, nostra compagna iscritta alla Cgil, mi ha turbato molto. Come spesso accade in questi casi sta contribuendo a riaccendere sul nostro territorio il dibattito sulla violenza di genere. Quanto accaduto a Trepuzzi, e dieci mesi fa a Specchia, non è un fatto casuale. Piuttosto è la punta di un iceberg, il caso eclatante che rischia di far dimenticare i soprusi quotidiani che subiamo. Viviamo in una società che, nonostante l’indignazione del momento, poi preferisce ignorare il grido di allarme lanciato da centri antiviolenza, consultori, associazioni che assistono le vittime e sindacati. Ho letto con attenzione il bell’articolo pubblicato ieri sulla Gazzetta a firma di Barbara Summo. È vero, non bisogna semplificare: tutto sembra risolversi, in certe discussioni del giorno dopo, nella dicotomia maschio-femmina, in cui all’uomo compete la parte del carnefice da odiare e combattere e alla donna quella di vittima. Una concezione per noi inaccettabile. Mi sorprende sempre come, nelle manifestazioni e nei progetti contro la violenza sulle donne, gli uomini siano poco coinvolti. In una società che vuole (si spera) superare il proprio paternalismo, bisognerebbe lavorare per superare il senso di potere e controllo sulle donne. Il modello sociale imperante ci ha consegnato all’individualismo ed alla competizione sfrenata: bisognerebbe imparare ad accettare i fallimenti personali, da vivere come momenti di crescita e non come condizioni irreparabili. Sono «odio, isolamento e solitudine» i mali da combattere, ha ragione Summo, ed anche l’analfabetismo emotivo che ci caratterizza.

Ho la fortuna di lavorare in un ambiente privilegiato, che pratica la parità di genere. Di contro il mestiere di sindacalista mi ha spesso messo di fronte realtà diverse: tante lavoratrici non possono parlare con noi sindacalisti se non accompagnate dai mariti, titolari di un potere di controllo quasi asfissiante. Ecco, nelle scuole bisogna educare alla parità, al rispetto dell’altro, all’autonomia delle donne, combattere gli stereotipi.

Nel suo piccolo la Cgil fa la sua parte. Ma non basta. Soprattutto in un contesto sfilacciato, in cui spesso si sottovaluta la richiesta di aiuto, in cui politica e magistratura fanno passi indietro. In Italia ci capita, da donne, di dover sopportare l’umiliazione di sentenze come quella recentemente emessa dalla Cassazione, che esclude l’aggravante dello stupro per i casi in cui le vittime subiscono violenza dopo aver assunto volontariamente alcol. È palpabile un certo arretramento culturale su questi temi, al punto da fornire alibi e giustificazioni. Per superare la piaga della violenza sulle donne serve competenza e vicinanza: per questo la Cgil di Lecce proseguirà il percorso cominciato nelle scuole e lavora per l’apertura degli sportelli di ascolto nelle sue sedi decentrate. Un piccolo contributo per vincere una battaglia che non è tra generi, ma che è culturale e di civiltà”.